Disagio Creativo n.013

Si è conclusa una bella e creativa settimana per me:

  • Lavazza ha deciso di finanziare l’episodio pilota della docuserie che voglio realizzare basata sul libro che avevo creato nel 2020 con campagna Kickstarter, “Childfood — Ricette per giovani Coolinary Explorers”, in cui credo moltissimo;

  • ho fondato una production company che ha come focus principale docuserie con taglio giornalistico (ma tra i primissimi progetti ci sarà anche un cortometraggio fiction);

  • ho affittato un pianoforte a coda per un anno così finalmente potrò tornare a suonare ogni giorno anche qui a Roma così come facevo a Torino;

  • infine, ho quasi concluso (terminerò oggi) il setting in ufficio per creare video divulgativi sui social media, dopo aver fatto alcune prove nei mesi scorsi su contenuti, produzione e post-produzione.

Tutto questo autoerotismo per dirti che sono molto felice, anche se mi sto cagando sotto. Ma è inevitabile, e ora ti dico perché.

L’insicurezza alberga in ognuno di noi. E anche se forse vorremmo vederla sparire, esiste per esserci utile.

I difetti sono umani, e l’arte e la creatività ci attraggono per il loro contenuto di umanità. Se fossimo delle macchine, l’arte non potrebbe mai risuonare in noi. Sarebbe senz’anima.

Sappiamo benissimo tutti che la vita è fatta inevitabilmente anche di dolore, insicurezza e paura. Siamo tutti diversi e tutti imperfetti, e le imperfezioni sono ciò che rende interessante ognuno di noi e le nostre creazioni. Creiamo opere che rispecchiano chi siamo, e se l’insicurezza fa parte di noi, la nostra produzione creativa risulterà ancora più vera.

Ho impiegato diversi anni, come scrivevo la scorsa settimana, a comprendere che l’atto creativo non è competitivo. L’opera della nostra creatività, qualsiasi essa sia, è sempre una rappresentazione del sé. Sbaglieresti nel dire «Non sono all’altezza della sfida», perché — sebbene per realizzare appieno la tua visione dovrai forse affinare la tecnica — se non saprai farlo tu, nessun altro ci riuscirà. Probabilmente ci sarà la stessa idea di fondo, ma l’esecuzione è unica, la visione è unica.

Creata con Midjourney

Se un creatore è così spaventato dal giudizio da non riuscire a proseguire, forse è il segno che il suo desiderio di condividere le proprie opere non è forte quanto quello di autoproteggersi.

Le emozioni, spesso estreme, che sanno rivelarsi così potenti quando vengono espresse nell’atto creativo, sono quelle stesse nubi soffocanti e cupe che implorano di essere anestetizzate per permetterti di dormire, o di alzarti dal letto e affrontare la giornata ogni mattina. Sono una benedizione e, al tempo stesso, una maledizione. Per fortuna, però, ci si può allenare per crearsi un percorso tra esse, una via.

🤲 Cosa può aiutare?

Leggere. Leggere soprattutto le storie di grandi creativi della storia. Ti riporto qui un passo di “Carissimo Simenon — Mon cher Fellini”, Adelphi, un carteggio tra Federico Fellini e Georges Simenon (due giganti, insomma).

Il 27 dicembre 1976, Fellini scriveva a Simenon:

«[…] Il mio paese, Roma, le mie abitudini, lo stesso mio modo di lavorare ha bisogno di un mutamento. E favoleggio di andarmene in un altro paese, in America, e ricominciare da capo, come rinascere. So che lei l’ha fatto tante volte nella sua vita ed è riuscito a restare miracolosamente fedele a se stesso, cambiando l’ambiente attorno e portando in salvo ogni volta il suo talento, la sua vocazione come l’unico vero tesoro vitale. Ragionandoci sopra freddamente penso che dovrei proprio fare così, ma nello stesso tempo so che non lo farò, che non partirò, troverò mille pretesti, scuse, rinvii, ogni tipo di giustificazione, da quelle patriottiche alle ragioni dell’arte «che non può essere sdradicata», della lingua, anche ragioni anagrafiche tirerò fuori, «son troppo vecchio, son troppo stanco…». L’annoio con queste chiacchiere, mi prometta di non perdere tempo a rispondermi su queste lagne. Qualcosa succederà. […]».

Il 3 gennaio 1977, Simenon rispondeva:

«Caro Fellini, se lei non fosse il grande Fellini, scriverei questa lettera su due colonne, la prima intitolata «Pro» e la seconda «Contro». Ma a un uomo come lei non si possono dare consigli. Tanto più che, per sua stessa ammissione, non li seguirebbe comunque. Lei è una forza della natura. E non se ne rende nemmeno conto. Lei obbedisce, volente o nolente, agli impulsi del suo inconscio. Anch’io, sia pure in una sfera più modesta, ho vissuto le incertezze e in un certo senso il vuoto che oggi lei si trova davanti. Nel suo caso il fatto non ha nulla di sorprendente, perché sono sicuro che lei ha appena finito di realizzare, starei per dire suo malgrado, una delle opere più importanti della sua vita. […] Ho fiducia. Lei è un creatore nato e non resterà a lungo nell’incertezza, a Roma, a New York come a Los Angeles. […] Lungi da me voler fare l’indovino: i miei non sono che gli sproloqui di un vecchio. Credo però di capire che lei sia a una svolta, come lo sono stato io alla sua età, e che sia il momento di prendere una decisione. In realtà lei non prenderà alcuna decisione. Seguirà il suo istinto e nient’altro, ed è per questo che sarebbe inutile darle dei consigli. Non si danno consigli a un Fellini. Lui andrà dritto per la sua strada contro tutto e tutti, se necessario persino contro se stesso. Gliel’ho già detto: ho fiducia. L’unico consiglio che mi sento di darle è quello di seguire le teorie di Jung, e di lasciar parlare l’inconscio».

Un abbraccio 🤗

Luca

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