Disagio Creativo n.014

Intorno al 500 a.C. (o bce — before common era, se preferisci), gli antichi greci credevano di vivere in un universo saturato dagli dei. Ogni roccia, sorgente e montagna era “sorvegliata” dal suo spirito naturale. E pensavano che l’ispirazione per la creatività provenisse dagli dei, inventando anche creature celesti — le Muse — come supervisori della creatività umana.

Socrate scrisse che i pensieri creativi hanno origine dagli dei, e che le idee non arrivano quando una persona è razionale, ma quando questa è “fuori di sé”, quando è “priva dei suoi sensi”. Questo perché gli dei tolgono la ragione prima di concedere il dono dell’ispirazione, e il comune “pensare” potrebbe effettivamente impedire la ricezione di rivelazioni divinamente ispirate.

Il termine “ispirazione”, che è latino, per la concezione che ne abbiamo oggi era chiamato dai greci “entusiasmo” (ἐνϑουσιασμός), che ora ha assunto un significato diverso. Era entusiasta chi era invaso, ispirato, dominato da una forza divina: uno stato cioè di esaltazione, che toglie a chi la prova il controllo dei propri atti e gli dà la coscienza di essere intimamente unito con il nume, che è quello che veramente opera. È la condizione in cui si riteneva si trovassero i poeti, presi da un vero e proprio “furore” (non esattamente quello di Paola e Chiara…).

Creata con Midjourney

Quindi, che fare? Benché, onestamente, proverei volentieri microdosi di MDMA, non credo sia necessario privarsi dei sensi attraverso l’utilizzo di sostanze.

Nel corso dei secoli abbiamo, come specie, cercato di comprendere il nostro cervello e come questo riesca a formulare idee.
Per arrivare a tempi più vicini al nostro, sono stati immaginati alcuni modelli per il pensiero creativo, come quello di Graham Wallas, il modello CPS (Creative Problem Solving) di Osborne-Parnes, o altri framework come quello di James Higgin nel suo libro 101 Creative Prolem Solving Techniques, oppure il TO LO PO SO GO di Edward de Bono descritto nel suo libro Teach Yourself to Think. Lo stesso de Bono ha creato anche una struttura conosciuta come i Six Thinking Hats.

Quello di Graham Wallas, che risale ai primi anni del secolo scorso, credo sia molto snello e semplice da seguire, e prevede quattro step (che hanno tutti la stessa importanza):

  1. Preparazione. Devi conoscere BENE il campo in cui vuoi creare qualcosa di nuovo. Ad esempio, molti anni fa quando pensavo che la mia vita sarebbe girata attorno alla musica, finì con la mia band nel roadster della BlissCo, l’etichetta torinese che lanciò gli Eiffel65 per intenderci. Il buon Massimo Gabutti (il boss) mi disse che secondo lui avrei potuto produrre ottima EDM (Electronic Dance Music). Io avevo zero conoscenza della EDM, e neanche un particolare interesse. Non creai una mazza 🫶

  2. Incubazione. Wallas notò che molte grandi idee arrivavano solo dopo un periodo di tempo trascorso lontano dal problema che si vuole risolvere. Questa fu certamente l’esperienza di Archimede quando ebbe la sua idea (la “spinta”) nella vasca da bagno («Eureka!»).

  3. Illuminazione. Il “click” o “lampadina” di una nuova idea è la fase misteriosa, e Wallas suggerisce solo di riposare la mente facendo altre attività. Per mia esperienza, queste “altre attività” inducono sempre in uno stato para-meditativo. Anni fa, quando non meditavo nel verso senso del termine, utilizzavo il giochino per smartphone Angry Birds. Ho amici che “meditano” correndo, ad esempio. Imparare a meditare, per un creativo, è una svolta (magari sulla meditazione scriverò una puntata di Disagio Creativo apposita).

  4. Verifica. In questo ultimo passo si fanno sforzi per comprendere se “l’idea felice” risolve effettivamente il problema, o colma un bisogno. L’unico modo per farlo è testare la propria idea sul “mercato”, magari iniziando dalla propria cerchia di amici e familiari. Hai scritto un romanzo? Easy peasy, fallo leggere 🤷‍♂️

Un abbraccio 🤗

Luca

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