Disagio Creativo n.016

Forse era il primo numero di Disagio Creativo quello in cui accennavo al “successo”. Credo sia abbastanza intuitivo come il concetto di successo cambia innanzitutto a seconda del contesto sociale in cui nasce e cresce una persona. Oggi, ad esempio, l’idea di successo più diffusa tra i GenZ occidentali è probabilmente avere milioni di follower su TikTok. Tu avrai un’altra idea, io un’altra ancora.

Ma il successo non deve per forza essere qualcosa di gargantuesco: si può rincorrere il successo nel cambiare una propria abitudine (tipo smettere di fumare), o cercare di raggiungere un obiettivo (come andare a correre ogni giorno perché sogno di poter partecipare a una maratona tra un anno), o ancora vivere delle proprie passioni.

Creata con Midjourney

C’è però un minimo comune denominatore, come ci spiegano neuroscienziati e psicologi, nel successo di qualsiasi persona, a prescindere dalla grandezza, dal contesto sociale e dall’epoca: chi ha successo ha smesso di ascoltare la sua parte interna che voleva tenerla, o tenerlo, al sicuro.

Si riscontra spesso una cosa buffa: una persona solitamente si illumina parlando del proprio sogno, obiettivo, o delle proprie passioni. Quando però le o gli si chiede il perché non si adopera per raggiungere il suo successo, quindi il compimento del suo sogno, obiettivo o passione, i sentimenti diventano negativi: «non ce la posso fare», «non sono all’altezza», «ho paura che se ci provo poi fallisco», eccetera.

Quando pensiamo a qualcosa di eccitante ma che ci richiede di uscire dalle nostre comfort zone, la prima cosa che percepiamo sono pensieri e sentimenti negativi. Perché? È un effetto dell’evoluzione umana.

Siamo biologicamente programmati per notare tutto ciò che nel nostro ambiente potrebbe rivelarsi come una possibile minaccia per la nostra incolumità. Ed effettivamente, i nostri antenati più facevano attenzione alle minacce, più avevano possibilità di sopravvivere e quindi di procreare e dare così continuità alla nostra specie.

Anche oggi facciamo così, e su cose che nemmeno sono minacce vere e proprie. Vi faccio un esempio.

Magari sto facendo una dieta, e per alcuni giorni assumo poche calorie e lì per lì come risultato divento irritabile, affamato e in generale non mi sento molto bene. Ora, la mia mente non solo assocerà il processo della dieta — quindi assumere poche calorie — ma addirittura la parola stessa, “dieta”, con pensieri e sentimenti negativi.

Il nostro corpo e la nostra mente sono programmati per proteggerci, e appena mettiamo piede fuori dalla nostra comfort zone iniziano a urlare: «Ué pisquano! Perché ti stai facendo del male?». Pisquano… erano decenni che non mi veniva in mente quest’aggettivo 😂 in Canavese si usava parecchio negli anni ‘90.

Quindi, anche se una determinata azione potrà portarci benefici, e farci arrivare al personale successo, la mente e il corpo ci remano contro. Dunque, che fare?

Porre attenzione ai pensieri che ci possono essere utili, e ignorare quelli che non lo sono. «Grazie al ca…», mi dirai.

Il miglior modo per riuscirci è aumentare la propria consapevolezza, e per farlo serve meditare. Meditare, in fin dei conti, è un esercizio di riconoscimento di pensieri e sentimenti. Alla lunga si è in grado di riconoscerli e “catturarli” anche in situazioni normali, al fine di compiere azioni determinate.

Giovedì mattina la mia analista mi raccontava di una mental coach che non parla di “uscire dalla propria comfort zone”, ma di “ampliare la propria comfort zone”. Che è un altro modo di vedere l’azione, e forse a qualcuno può fare meno paura. Quindi aumentare le proprie azioni, magari rendendosi goffi e un po’ weird, ma chi se ne frega!

Il disagio creativo sta tutto qui.

Un abbraccio 🤗

Luca

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